12 Ottobre 2014 – Commemorazione Martiri dell’Ottobre di sangue varesino
Varese, Sala Montanari 12 ottobre 2014
Ottobre 1944
Penso che alcuni dei presenti, data l’età, abbia già preso parte, negli anni scorsi a questa oramai tradizionale manifestazione indetta dall’Amministrazione comunale e dalle Associazioni partigiane e conoscano le diverse vicende che hanno caratterizzato, quello che è stato chiamato ottobre varesino di sangue.
Vorrei invece parlare ad uno dei tanti giovani che non ha vissuto quel periodo e che non ne ha mai sentito parlare, né in famiglia, né nella scuola, né nelle altre diverse sue partecipazioni ad attività sociali.
E’ questa sicuramente la parte preponderante dei giovani e dei cittadini della città di Varese che con questa loro non conoscenza, questa loro ignoranza dei fatti, in realtà non conoscono una parte, che ritengo importante, della storia di questa città e di queste zone.
Sono passati da allora 70 anni, il tempo di due generazioni, quei fatti non sono oramai oggetto di cronaca ma di vera storia che, permettetemi, personalmente ho vissuto e di cui posso parlare, da testimone.
Vi è da dire innanzitutto che più di altre vicende e episodi di quegli anni, l’ottobre 1944 di Varese è stato esempio di unità democratica tra le forze antifasciste.
Basta far presente che in quelle vicende sono state coinvolte tre formazioni partigiane, la 121 Garibaldi, la 148 brg Matteotti e la formazione autonoma comandata dal capitano Lazzarini, operante nei luinese. Così non è stato per altri importanti avvenimenti della lotta di Resistenza nella nostra provincia, avvenimenti che è sempre importante ricordare Nel novembre 1943 vi è stato lo scontro armato, la battaglia del San Martino in Valcuvia, che ha coinvolto direttamente solo quella che si può ritenere essere stata la prima formazione partigiana operante in provincia, il gruppo “5 giornate” comandato dal tenente colonnello Carlo Croce. Lo scontro ha visto impegnate ingenti forze tedesche con una conclusione tragica per molti nostri ragazzi. Nel corso della battaglia solo un nostro giovane è stato ucciso. 44 giovani, arrestati nel tentativo di rompere l’accerchiamento sono stati, imprigionati, torturati e fucilati, E’ stata questa una delle tante, forse la prima strage compiuta dai nazisti nel nostro paese.
Nel dicembre 1943 e nel gennaio 1944, iniziarono gli scioperi nelle nostre fabbriche. Una delle prime a manifestare in questo modo una resistenza di massa, non armata contro i nazifascisti è stata la Ercole Comerio di Busto Arsizio, Allora reparti militari tedeschi giunti da Milano accerchiarono la fabbrica e arrestarono 15 lavoratori deportandoli a Mauthausen, molti dei quali non tornarono.
L’ottobre varesino del 1944 presenta una situazione molto diversa circa le forze in campo.
Operanti contro le forze della resistenza non sono state formazioni militari tedesche ma l’apparato repressivo dei fascisti italiani che, sotto la direzione degli uomini dell’ufficio politico investigativo con sede alla villa Dansi, in via Dante, hanno compiuto due rastrellamenti con la fucilazione di 14 partigiani ai quali si devono aggiungere gli agguati compiuti, sempre in quei giorni di inizio ottobre, con la morte dei due comandanti Walter Marcobi e di Renè Vanetti. 16 giovani uccisi in 4 giorni di operazioni e altri 12 sono stati gli arrestati detenuti nella cantina della villa sede dell’upi.
E’ questa una differenza molto importante che vide da noi, a Varese, le forze fasciste in prima linea a compiere la repressione delle istanze di libertà che erano alla base del nostro impegno e dei nostri sentimenti.
Anche la volontà dei fascisti di avere sempre sotto mano, nella cantina della loro sede, gli arrestati per i quasi quotidiani confronti e interrogatori non è certo un fatto comune. Hanno voluto avere una loro prigione con i detenuti sempre a disposizione per tentare nuove operazioni repressive.
Non sarei però corretto se non facessi le dovute valutazioni differenziate rispetto all’attività dei singoli. Era quella degli uomini dell’upi una accozzaglia di personaggi e di fascisti con un diverso atteggiamento sullo e nello scontro in atto. Vi erano fascisti che fuggivano dall’avanzata lungo la penisola delle forze armate alleate e che si rifugiarono in queste nostre zone perpetuando i loro criminali disegni repressivi. Vi erano alcuni pochi giovani di Varese arruolati nelle formazioni della repubblica sociale. Vi erano militari italiani di leva ma senza alcuna capacità o volontà repressiva. Vi era un gruppo di marinai che nell’Egeo avevano fatto prigionieri alcuni ufficiali inglesi, osannati dalla stampa fascista di allora come eroi ma il cui desiderio era solo quello di cercare una tranquilla sistemazione personale senza alcun impegno politico. Questi ultimi, con il loro comandante, che nulla fecero nella repressione antifascista, alla fine del conflitto non subirono alcuna misura repressiva.
Per quasi due mesi vivemmo nella loro cantina di villa Dansi, una normale cantina e non una prigione con le relative misure di sicurezza. Ciò richiedeva la continua presenza di almeno un milite di guardia al numeroso gruppo di prigionieri, con i quali erano frequenti anche le discussioni che ci permisero di avere notizie sullo scontro in atto nella città e nella zona.
Abbiamo così conosciuta, ad esempio, la versione fascista sulla uccisione di Walter Marcobi, comandante della 121 Garibaldi. Intercettato in quel di Capolago, a seguito di una confessione. Mentre viene portato alla macchina per il trasporto, sente il sussurrato invito di un fascista di fuggire. Walter segue l’indicazione ma fatti pochi metri viene colpito da una raffica di mitra.
Cade in un campo. I fascisti si guardano bene dal soccorrerlo. Lo lasciano, agonizzante in mezzo al fango. Cercherà di trovare aiuto e soccorso ma morì dissanguato.
Dubitammo sulla veridicità di questo racconto ma quando la procedura si ripeté nel gennaio 1945 a Varese con la morte di Carletto Ferrari, che stava per essere rinchiuso ai Miogni, si deve allora concludere che questo era il loro metodo per far tacere per sempre i prigionieri.
In questa lotta senza quartiere ci si è domandato se anche noi non abbiano commesso errori.
Certamente sì, in buona parte per eccessiva fiducia o per un’errata valutazione sui pericoli derivanti da una scarsa vigilanza.
Se si esaminano i fatti si vede che l’ottobre di sangue è derivato da uno di questi errori.
Tutto ha inizio il 30 settembre quando un gruppo di gappisti con sede in un roccolo di Bodio, quasi tutti di Malnate e altri di Varese, compie un’azione a Malnate per prelevare armi alla sede del fascio e per accompagnare due giovani disertori della gnr che volevano far parte delle formazioni partigiane. Durante il percorso incrociarono un loro concittadino, convinto milite fascista e, per evitare conseguenze e rappresaglie alle proprie famiglie, lo hanno fatto prigioniero. Compiuta l’azione con uno scontro a fuoco nel corso del quale rimane ucciso il commissario prefettizio, il gruppo si diresse, in bicicletta a Bodio.
Ma il gruppo gappista è di 7 persone, ha una base molto esposta al roccolo di Villa Puricelli non può gestire con la dovuta sicurezza il prigioniero per un eventuale scambio. Ecco allora che la 121 Garibaldi chiede aiuto al gruppo Lazzarini, un gruppo di una trentina di uomini operante nel luinese e con base alla cascina della Gera.
Il 4 ottobre due partigiani della Lazzarini vengono a Varese per trasferire il prigioniero a Luino. Per scarsa vigilanza, durante il percorso da Casbeno alle Bettole, il prigioniero fugge, si reca subito all’Ufficio politico, denuncia i fatti, da le indicazioni logistiche e subito i fascisti compiono l’operazione a Bodio che termina con la fucilazione di Bai e Brusa.
Da qui anche la preparazione del rastrellamento del 7 ottobre alla Gera, concretizzato dal contemporaneo arresto di altri due membri della formazione Lazzarini, uno dei quali era incaricato del trasporto di armi da Tradate a Luino che doveva avvenire il sabato successivo. Su questo rastrellamento si sono dette molte falsità, non solo da parte fascista. Si è detto e si è scritto su “Cronaca Prealpina” che l’operazione ha provocato uno scontro a fuoco mentre, invece, i 19 giovani della formazione presenti alla cascina stavano ancora dormendo (il Lazzarini e altri 6 erano partiti nottetempo per una nuova operazione). La operazione si concluse con 4 partigiani fucilati sul posto, 5 al cimitero di Brissago e 3 alle bettole di Varese. A proposito della crudeltà delle forze nazifasciste basta richiamare il giudizio del capitano Bassani, comandante degli allievi ufficiali della gnr quando nella relazione al suo comando scrisse: ” L’intervento di un ufficiale dell’esercito germanico è valso a salvare, non giustamente, gli altri prigionieri tra i quali 4 donne.”
A questo episodio indicativo di scarsa vigilanza si accompagna invece la fermezza e il coraggio di altri. Quel 7 ottobre, era ancora notte quando dalla cantina di villa Dansi i fascisti prelevarono tre prigionieri. Due come guide per il rastrellamento di Luino e il terzo doveva portarli a Tradate, per colpire il gruppo di gappisti della 121 dislocati nei boschi della pineta dai quali , nella giornata, si dovevano prelevare le armi da trasportare a Luino.
La guida seppe portare i fascisti in un luogo ove il gruppo aveva stazionato tempo prima e la operazione fallì. Dal primo rastrellamento i fascisti tornarono orgogliosi di 12 fucilati e 7 prigionieri. Dal secondo tornarono con le mani vuote.
Ritengo opportuno segnalare come la fucilazione di 12 partigiani della Lazzarini sia avvenuta in tre località diverse. I quattro alla Gera perché giorni prima era stato ucciso il brigadiere Gallo, i 5 di Brissago per vendicare la morte del commissario prefettizio di Brissago e i tre alle Bettole per la uccisione di una spia fascista. Il terrore in tre località. Come si vede, la risposta è differenziata. Per un commissario fascista valgono 5 partigiani fucilati mentre per una spia ne bastano tre. Sulla fucilazione di questi ultimi tre partigiani vi è la conosciuta testimonianza di Don Tornatore che assistette all’operazione e ne descrisse l’atrocità.
Di un certo interesse invece la domanda che in questi anni ci si è posta a fronte di questo e altri episodi di lotta di allora e di certi orientamenti di oggi. Varese è una città fascista, o meglio, i cittadini di Varese sono fascisti?
La risposta a mio avviso non deve essere univoca, a senso unico. Vi erano allora molti fascisti che approvavano le repressioni ma Marcello Novario (autore di un numero speciale clandestino de, l’Unità, uscito a novembre 1944) ci racconta che: “la notte precedente il giorno dedicato ai defunti, i partigiani hanno deposto sulle tombe dei caduti delle corone di alloro con un nastro tricolore e la scritta “gloria eterna ai martiri della libertà” . E mentre i cittadini si recavano sulle tombe a ricoprirle di fiori, i fascisti arrivarono in pieno assetto di guerra a togliere i simboli di tanto cordoglio”
Sono passati 70 anni da allora ma vi sono ancora oggi degli sparuti gruppi di provocatori che anche a Varese manifestano in modo palese, anche con il saluto romano, la loro volontà ad un impossibile ritorno indietro, vi è chi nega la tragedia dell’olocausto trovando una sponda in certa stampa o, come la Giunta di Sesto Calende che pochi giorni fa ha fatto cancellare dal muro della scuola media un murales sulla libertà compiuto da studenti e docenti 20 anni fa, per il 50°.
A fronte di tutto ciò vi è l’impegno di masse di cittadini organizzati nelle varie Associazioni, nelle organizzazioni sindacali, nelle molteplici forme di volontariato che con la loro azione quotidiana riconfermano la necessità di rispondere a questi conati con una democrazia sempre più partecipata.
Purtroppo non è sempre così. Quando quasi la metà dei cittadini non partecipa al diritto di voto non si esprime certamente una convinta adesione al messaggio dei 16 caduti dell’ottobre 44. ma, soprattutto non si risponde giustamente alla soluzione dei tanti problemi che stanno di fronte a noi oggi, in Italia e nel mondo.
Anche allora quei nostri giovani potevano evitare i sacrifici e la morte. Potevano, come hanno fatto tanti, rifugiarsi in Svizzera. Hanno voluto, invece, essere cittadini che, in modi diversi, dalla presenza nei numerosi scioperi di massa, all’appartenenza a formazioni militari partigiane, partecipare alla resistenza.
Anche dopo la liberazione vi furono periodi difficili e pericolosi stante la rottura dell’unità antifascista, le distruzioni della guerra, la crisi industriale, la forte disoccupazione che indusse molti a cercare lavoro nell’emigrazione. Anche in quella realtà gli stessi giovani seppero dare un esempio.
Molti di noi non avevano atteso il compimento del 21° anno di età o la risposta da dare ai bandi di reclutamento dei fascisti, per partecipare alla resistenza. Dopo la liberazione gli stessi giovani chiesero subito il diritto di voto a 18 anni. La nuova democrazia non lo concesse. Su questa negazione di un diritto anche da noi vi fu polemica. Il settimanale “Gioventù unita” (redattore capo era Luigi Ambrosoli) nel numero del 18 giugno 1945 così rispondeva a questa richiesta : “Non pensino che si voglia dare a loro una mortificazione ma considerino i motivi che possono oggi spingere il Governo a questa decisione”. Uno di questi motivi è sicuramente una Italia allora spaccata, con tentazioni e avventure separatiste, con il ritorno della mafia siciliana. Il motivo principale di questa situazione stava nella mancanza di una forte intesa unitaria tra le forze democratiche del mezzogiorno le quali, mentre a Napoli il popolo seppe cacciare i tedeschi, mentre il mondo era in guerra si dividevano sul futuro dell’Italia, se essa doveva rimanere una monarchia o divenire una repubblica. Come tutti sappiamo il problema si risolse quando le stesse forze democratiche trovarono l’intesa nel definire le priorità. Prima di tutto liberare l’Italia e poi chiamare il popolo alla scelta, così come è stato fatto.
Questa valutazione è comprovata dall’eroico comportamento dei giovani meridionali rimasti al nord. In grande numero essi parteciparono nelle nostre formazioni partigiane dimostrando lo stesso eroismo di tutti, se è vero, come è vero, per esempio che in Piemonte morirono per mano fascista i palermitani, fratelli Di Dio, e a Ferno il 6 gennaio 45, il nisseno Salemi facente parte della prima brg, lombarda.
Si può quindi giustamente affermare che la Resistenza ebbe il suo sviluppo al nord, occupato dai nazisti ma che è stato un movimento al quale parteciparono tutti gli italiani di orientamento antifascista e democratico.
Ciò è comprovato degli sviluppi successivi, soprattutto quando tutte le forze democratiche antifasciste seppero trovare un’intesa unitaria che portò alla scrittura e alla approvazione della Costituzione democratica.
E’ per questo profondo legame tra le nostre aspirazioni del 4345 ed i contenuti della Costituzione, che è il nostro vero testamento politico, che noi siamo contrari ad ogni modifica che ne snaturi principi e valori.
Quando abbiamo occasione di discutere con i giovani è normale una domanda: “Trovate nella società odierna la rispondenza ai vostri ideali di ieri”, Certamente si, rispondo. Quando si pensa alla dittatura e alle sue parole d’ordine, tra le quali il compito assegnato degli italiani doveva essere ” credere obbedire combattere” e la realtà di oggi, di una democrazia oramai affermata, alla libertà di pensiero garantita. all’Italia come grande paese di pace e di amicizia tra i Popoli., quando si pensa alla Costituzione e ai suoi valori vi è da essere contenti perché in essa vi sono statuiti i nostri principi.
Ciò non vuol dire che tutti i valori della Costituzione siano affermati nei fatti.
Non troviamo nella società odierna la attuazione di altri diritti sanciti dalla Costituzione, primo tra tutti il diritto al lavoro oggi, con il 45 per cento dei giovani italiani in cerca di lavoro.
La pubblicistica di questi tempi ne parla molto. Il problema è all’attenzione di tutti perché si è consapevoli che una società che non garantisce questo fondamentale diritto alle giovani generazioni non ha prospettive per il futuro. Non sta a noi dare soluzioni a questo grave problema ma la sua soluzione, la soluzione di un diritto non può essere risolto con misure che negano altri diritti.
Esso presuppone certamente la adozione di misure economiche e sociali anche non indolori, misure che spettano ai governi ma queste misure non devono comportare un ulteriore divario, una ulteriore disuguaglianza di condizioni economiche e sociali tra i cittadini. Le risorse necessarie ad un nuovo sviluppo ci sono, stanno nella evasione fiscale da combattere con coraggio, nella lotta contro le mafie che dissanguano l’economia sana, stanno anche nella solidarietà tra i cittadini, tra chi più ha e chi è in condizioni difficili.
Ogni occasione di incontro come quella di oggi ci deve far riflettere e pensare ad essere oggi come ieri, dei cittadini e non dei sudditi. Dagli avvenimenti che noi ricordiamo oggi dobbiamo trarre impegno a continuare sulla stessa strada già percorsa 70 anni fa. . Quello dell’ unità dell’Europa che deve essere sempre più aderente alle aspirazioni dei suoi giovani di allora e di oggi contro ogni nazionalismo, ogni corporativismo, ogni separatismo, purtroppo ancora presenti in grande parte del continente. Quello della lotta per la pace oggi minacciata da un pauroso ritorno indietro di secoli per responsabilità di coloro che giustificano la guerra, gli assassini, la ghigliottina su deboli e indifesi cittadini, il tutto nel nome di un credo religioso che non è ricerca della verità ma fanatismo, non è dialogo ma solo morte.
Sono anni oramai che la violenza regna nel medio oriente e in altre parti del mondo. La risposta data solo con le armi non ha risolto i problemi, non ha garantito la pace. Vi deve essere più unità tra le forze e i paesi democratici del mondo i quali devono far sentire la loro ferma condanna della guerra con una coraggiosa politica di pace che dovrebbe essere il compito principale delle aggregazioni universali, l’ONU e l’Europa prima di tutto.
Giovani e non più giovani dobbiamo ancora oggi e sempre vivificare la democrazia con la nostra presenza per dare giuste risposte a queste domande di Pace, di Lavoro, di Giustizia.
Facendo così avremo degnamente ricordato il sacrificio dei 16 martiri dell’ottobre di sangue, avremo fatto il nostro dovere.
Angelo Chiesa
Pres. ANPI Prov.le Varese
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