Eccidio di Ferno e Samarate – 70° Anniversario

Eccidio di Ferno e Samarate – 70° Anniversario

Domenica 4 Gennaio 2015: 70° Anniversario Eccidio di Ferno e Samarate

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Qui di seguito il discorso commemorativo dell’Oratore ufficiale designato da Anpi Prov.le Varese, Massimo Ceriani, alla presenza di un folto pubblico e delle Autorità Comunali intervenute.

Hanno colorato l’evento, come da sempre, i ragazzi delle scuole, diretti dalle loro Insegnanti, alle quali va il ringraziamento di tutti gli antifascisti.

Eccidio di Ferno –  4 gennaio 2015

Prima di Natale i bambini della 5° elementare delle scuole di Ferno, con le loro insegnanti, hanno avuto un incontro con Carla Locarno, staffetta partigiana, sorella di Nino Locarno.

L’hanno accolta con una canzone: Bella ciao

Carla Locarno ha detto di essere onorata di poter parlare e ricordare i 5 giovani partigiani caduti 70 anni fa; e ha iniziato il suo racconto scandendo i nomi dei giovani morti.

Per una buona mezzora, in piedi e con una voce ferma,   Carla ha ricordato quelle vicende di settanta anni fa, lei testimone di accadimenti dolorosi e sorella di un giovane che qui, a Ferno, fu ucciso dai fascisti della Brigata Azzurra dell’Aviazione.

Dopo il racconto,  i bambini hanno fatto molte domande, da quella riguardanti la quotidianità della guerra e della resistenza a domande più impegnative, quelle relative alla scelta di disobbedire al fascismo, quelle relative al significato della morte e della vita nel contesto della guerra … fino alla domanda che più di un bambino ha rivolto a Carla: che cosa resta di quelle vicende?

Non c’è nessuna facile risposta, non si possono fare semplificazioni, e Carla non è una storica … Carla  ha risposto come può rispondere un testimone; con la sua soggettività e con la saggezza che può venire dall’aver vissuto.

  1.   Dunque, chi è un testimone? E cosa resta nella testa e nel cuore di Carla Locarno?

Carla Locarno è un testimone e quindi ha una storia da raccontare, ma è anche  una persona che vive nel presente ed è soggetto sia al flusso dei ricordi, sia alle sollecitazioni della  quotidianità.

Carla Locarno, circa 20 anni fa è stata intervistata e ha ricordato molti episodi della resistenza, di suo fratello ma anche dei genitori antifascisti che erano emigrati in Francia; l’altro giorno quando ha raccontato ai bambini, a scuola, non ha parlato per due ore come nell’intervista, soltanto per mezz’ora, ma  è stata incalzata dalle domande dei bambini e così ha aggiunto dei pezzi di ricordo, e ha fatto sottolineature diverse di ciò che  è accaduto, ha usato parole e intensità differenti, ha tralasciato qualche particolare e ne ha aggiunti altri …

Chi  ascolta, sappiamo,  si aspetta che il testimone racconti sempre la stessa storia, con le stesse parole, che non modifichi i tempi e i modi della narrazione. Invece il passato viene sempre ricostruito, si ricorda quello che è avvenuto in modo attivo, il ricordo è un testo aperto, anche  in relazione al fatto se chi  sta ascoltando è un adulto o un gruppo di bambini.

Si può aggiungere che Carla non ha ricordato con nostalgia, né che quel passato è un monumento di pietra, ripetuto e imbalsamato; quel passato è sì lontano, ma ancora dialoga con i temi del presente.

( su questa cosa ritornerò alla fine dell’intervento…)

  1. 2.      C’è un’altra domanda che ci riguarda: che cosa e come noi  memorizziamo quelle vicende della resistenza, ormai lontane settanta anni?

Qual è il valore della memoria per noi?

Lo storico David Bidussa ha scritto che ricordare è un atto che si compie tra vivi, ed  è volto a legare tra loro gli individui; Quando parliamo di memoria pubblica ci riferiamo a un patto in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciare cadere degli eventi del nostro passato.

Questo ricordare, questo rapporto con il passato non è immodificabile, e nel corso del tempo ci troviamo a cambiare significati, a sottolineare  in modo diverso le ricorrenze, il nostro calendario civile.

Allora sorge un’altra domanda: perché ci ritroviamo qui ogni anno? E non è una domanda scontata; ogni volta dobbiamo trovare motivi, rintracciare ragioni; quale è il significato che attribuiamo alla resistenza; cosa tratteniamo di quegli eventi, a chi e a quali fonti ricorriamo …

Allora le testimonianze sono preziose, così come la storia, il lavoro dello storico che ordina eventi e scava nei documenti, negli archivi e raccoglie testimonianze orali; come  è preziosa la letteratura e lo sguardo degli scrittori che parteciparono  a quegli eventi, come Beppe Fenoglio, Italo Calvino, Luigi Meneghello e tanti altri…

In questi materiali di memoria, di storia e di letteratura,  rintracciamo non solo eventi e date, possiamo cogliere pensieri ed emozioni che si muovevano  in quelle persone che corsero in strada  e  iniziarono a combattere, possiamo comprendere in quel contesto storico le scelte del farsi partigiani, partendo ciascuno dalla propria cultura e dalle esperienze personali  In molte testimonianze e testi scritti troviamo spiegazioni e suggestioni impagabili, e una grande varietà di toni e argomentazioni.   

Cosa fu la Resistenza al fascismo?  Vorrei rispondere con una breve rassegna di parole chiave …

Non solo asprezza e drammaticità dello scontro;  quel ritirarsi sulle montagne era come un ripartire da zero, una inebriante aria di nuovo inizio, una rinascita morale prima che politica, un“impulso di mettersi fuori legge”, di ribellarsi a un ordine sociale ingiusto, alle menzogne della propaganda del regime, di liberarsi  dalle costrizioni più odiate e scoprire nuovi modi di essere e di vivere.

E c’era allegria come ha scritto  Guido Piovene, scrittore, che ricorda quei mesi come  i più belli della sua vita “non furono anni tetri, ma allegri, dell’allegria che nasce dalla colleganza con altri uomini”. E si combatteva come ha detto Lidia Menapace, staffetta partigiana, perché  “si voleva la pace e si amava la vita”,  e  “la Resistenza fu colorata”, dei più diversi colori culturali e politici

In una testimonianza riportata dallo storico. Claudio Pavone, nel libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza:   “Si lottava per cambiare  il mondo e io penso di aver fatto tutto il mio dovere per tentare di modificare le cose. Mi pare che in parte dei miglioramenti ci sono stati … Ma noi volevamo che  il lavoro fosse un bene per tutti, un diritto di tutti. Aspiravamo a una società senza sfruttati né sfruttatori, e da questo mi pare che siamo ancora molto lontani. Certo combattendo volevamo un futuro diverso. Prima di tutto abbiamo lottato per cacciare i tedeschi dal nostro paese e i fascisti che erano i loro servi … poi abbiamo lottato per creare un’Italia democratica, ma un’Italia nuova”.

I diritti e le libertà di cui godiamo oggi sono nati allora.   L’Italia è oggi una democrazia perché allora vi fu chi ebbe il coraggio di opporsi alla dittatura e di assumersi la responsabilità di fare qualcosa, ribellandosi alla violenza e all’oppressione…

Di quegli anni tragici, non ci fu solo dolore e lutti  per le tante persone travolte dalla violenza, dalla guerra … la Resistenza  fu per una generazione intera o per una parte significativa un grande momento di crescita, di formazione di sè, di educazione alla vita”; come racconta molta letteratura resistenziale, in quella stagione di durezza degli scontri e asprezza di un’esistenza dove mordevano il freddo, la fame, i pidocchi vi era un desiderio (e un progetto)  di società  libera e più giustaun percorso di libertà e di emancipazione.

Nel 1973 Norberto Bobbio, professore di filosofia, scrisse nelle premesse al diario di Dante Livio Bianco, avvocato e resistente nelle formazioni di Giustizia e Libertà, queste parole (riportate anche nel manifesto di questo incontro):

Se in una società sempre più corrotta e volgare come la nostra, abbiamo ancora qualche ragione di guardare al passato e di trarne un conforto, questo passato è la resistenza viva, non quella imbalsamata, incompiuta o interrotta, la resistenza come impeto, destinata a indicare – ancora oggi –  una meta ideale più che prescrivere un risultato, con tutte le sue debolezze e le sue speranze, con i suoi sacrifici, i suoi ardimenti, la sua nobiltà.

Ne scaturì un testo: la Costituzione italiana che è Il frutto più importante della Resistenza; la nostra Costituzione che ha messo al centro la dignità del lavoro, la tutela della persona, i diritti di uguaglianza, l’accesso a condizioni fondamentali come l’istruzione e la salute.

La Costituzione italiana, che ci indica ancora oggi la bussola, l’orientamento per muoverci in un periodo difficile …

  1. Ritornando a Carla Locarno;  ai giovani di allora, quella generazione, nata negli anni venti; Carla ha 89 anni … dopo l’ultimo testimone come rifletteremo? cosa ci servirà oltre la memoria dei testimoni?

Restano i racconti, i trascritti delle testimonianze orali e rimangono le domande, come quelle dei bambini delle scuole di Ferno, rimane la capacità di riflettere e di attivare nuovamente le narrazioni.

Serviranno gli strumenti della storia, rimane la storia, che  è scavo di documenti è ricerca delle fonti documentali e orali; la storia che è studio di testi nelle scuole, la storia con le sue verità e con il piacere di insegnare e di imparare …

E rimane la letteratura, il ricorso alla invenzione narrativa,  la sua forza conoscitiva che evoca situazioni, persone, emozioni, tiene aperto il discorso, ricostruisce verità

Nell’incontro con Carla, nell’aula della scuola, alcuni bambini hanno portato documenti come  il settimanale  Il Compagno o il quotidiano La Prealpina, documenti di pochi mesi successivi all’eccidio; e le insegnanti hanno suggerito la lettura di una poesia in dialetto I cinq martir de Ferno di Carlo Livetti; poi alcuni bambini hanno convocato/chiamato dei nonni; a Carla  hanno chiesto se conosceva questi nonni, che allora erano giovani e qualcuno era giovane partigiano, come i samaratesi Bruno, Cesare e Pietro Scampini.

In alcuni momenti, in questa aula di scuola, si sono composti e intrecciati, testimonianza, documento storico e poesia, letteratura

Per finire, vi leggerò un pezzettino di letteratura di un giovane scrittore di Busto Arsizio.

Alessandro Mari tre anni fa è venuto qui il 6 gennaio  e  ha raccontato  la storia dei cinque ragazzi che morirono il 6 gennaio; aveva preso spunto dal diario di Fagno, dalle memorie di Antonio Ielmini e  ha fatto suo quel materiale vivo, è ricorso alla finzione narrativa per prolungare la memoria testimoniale.

“I nostri ragazzi, coraggiosi, di quell’incoscienza di cui è fatto il coraggio quando la storia chiama. I nostri ragazzi, perché l’Italia che abito, io insieme a voi, loro l’hanno immaginata prima di noi, quindi sono i nostri ragazzi, di tutti …

Quel giorno del martirio, dell’eccidio a Ferno … si disperdono nella neve, si allargano, cadono uno a uno …  Vorrei sentire, insieme a voi, quella sirena della Caproni, a fine turno, gli operai che escono; e quelli che erano rimasti al Buscasc, si mettono il passamontagna, vengono in paese, vogliono vedere i loro morti, sono importanti i morti per i partigiani … perché quello è un pezzo di libertà che muore; la libertà non è un ideale, serve un corpo per portarla in giro e quando muore un corpo che la porta in giro è un pezzo di libertà che muore.

I nomi, li ricordo, perché mi piace ricordarli, sono: Silvano Fantin, Nino Locarno, Claudio Magnoli, Dante Pozzi e Paolo Salemi…  Li hanno buttati in una fossa comune, così massacrati i corpi che appena si riconoscevano. E i loro amici non possono vederli, perché i fascisti sono là ad aspettarli, non li possono guardare  in viso, non possono portare con sé il ricordo.

Quando tentano l’ultima volta di andare a vedere i loro compagni e vengono respinti dai fascisti, portano con sé un poco di gesso e quando si trovano in piazza San Martino, prima di tornare in Piemonte, quel gesso lo fanno crocchiare sul muro. Scrivono: “arriveremo cinque minuti prima di voi alla vittoria” (e ancora “fascisti, sappiamo  come avete portato i nostri morti al cimitero; attenti alla sepoltura, perché sepoltura per sepoltura”).

Non lo so se quei muri ci sono ancora qui a Ferno, se sono gli stessi muri di allora; non so se resta sotto l’intonaco un po’ di quel gesso partigiano.

Però il senso di quelle parole, un grano del sentimento che le ha ispirate sono sicuro che esiste ancora.

Perché per quanto sia diversa e malconcia l’Italia e magari abbia dimenticato da dove arriva la libertà che vive, noi comunque siamo qui a ricordare quell’Italia di allora, ancora, e ricordando quei ragazzi e i loro ideali, li teniamo dentro ancora  un po’ con noi e li mettiamo al sicuro”.

Massimo Ceriani

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