25 Aprile 2019 – Festa della Liberazione – Gallarate – Interventi e foto video
Non si può che essere pienamente soddisfatti della straordinaria partecipazione di popolo alla Manifestazione per le Celebrazioni del 25 Aprile 2019, data della Festa della Liberazione, tenutasi come sempre in tutta Italia e, per quanto ci riguarda, anche a Gallarate.
Alle premesse che prevedevano la conclusione della Manifestazione nel luogo meno indicato dagli eventi che in questa giornata si vogliono celebrare, e cioè piazza Risorgimento, dedicata ai Caduti in particolare della 1^ guerra mondiale, anzichè nel luogo particolarmente dedicato che è e rimane Largo Camussi, ove sorge appunto il Monumento alla Resistenza di Arnaldo Pomodoro, ha fatto seguito un successivo disciplinato corteo di popolo che ha accolto l’invito dell’Anpi: “segui i fazzoletti”.
E così è stato. Centinaia di cittadini hanno seguito le insegne di Anpi che si è diretta a Largo Camussi, dove poi ha avuto completamento e termine la Festa della Liberazione.

La giornata è iniziata secondo il protocollo predisposto dall’Amministrazione Comunale, discusso ed approvato, nonchè sottoscritto da tutte le parti in causa, con la deposizione delle corone all’interno del Cimitero dopo la celebrazione della S. Messa al Sacrario ai Caduti. Nella piazzetta antistante il Cimitero si è svolta la prima parte della cerimonia, introdotta dal Pres. di Anpi Gallarate Mascella, che ha dato lettura del messaggio del Capo dello Stato Pres. Sergio Mattarella , preceduto dalle seguenti considerazioni:
Sono 200 dall’inizio dell’anno i morti sul lavoro, tra i quali quello di un giovane a Taino, in una fabbrica di materie plastiche. Ed anche tra le forze dell’ordine si registrano morti analoghe. Ultima quella del Maresciallo Maggiore dell’Arma Vincenzo Carlo Di Gennaro, per il quale leggo il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
“”Ho appreso con profondo dolore la notizia del tragico episodio di Cagnano Varano nel quale è rimasto ucciso il Maresciallo Maggiore Vincenzo Carlo Di Gennaro e ferito il carabiniere Pasquale Casertano. In questa dolorosa circostanza desidero esprimere a lei, signor Comandante Generale, e all’Arma dei Carabinieri la mia solidale vicinanza”.
Lo scrive il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale C.A. Giovanni Nistri: “La prego di far pervenire ai familiari del Maresciallo Maggiore Di Gennaro le espressioni della mia commossa partecipazione al loro cordoglio e al militare ferito un augurio di pronto ristabilimento”, conclude il Capo dello Stato.
Mascella ha chiesto quindi un minuto di silenzio in memoria delle vittime innocenti sul lavoro, che dall’inizio dell’anno in corso ammontano, come detto innanzi, a oltre 200 morti.

La cerimonia è proseguita dunque con le letture degli studenti dell’Ist. Gadda – Rosselli, Gerolamo Cardano e Maino; successivamente (secondo il protocollo) avrebbe dovuto parlare il Sindaco, che però ha espresso il desiderio di parlare per ultimo: ed è stato accontentato. Aspettiamo, come per lo scorso anno (siamo ancora in attesa), che ci invii il suo discorso per poterlo pubblicare, come abbiamo sempre fatto nel passato.
Mascella ha quindi dato la parola all’Oratore Ufficiale della Manifestazione, Avv. Riccardo Conte (di Anpi Varese): qui di seguito il suo appassionato, lucido, applaudito intervento:
RESISTENZA, COSTITUZIONE, MEMORIA, ATTUALITÀ
(di Riccardo Conte – Gallarate, 25 aprile 2019)
- Ricordare la Liberazione dal nazifascismo, parlare della Resistenza e dei suoi valori e, quindi, di uno dei suoi frutti più belli, la nostra Carta costituzionale, è compito impegnativo. Significa parlare di qualcosa che è quanto di più prezioso possa appartenere alla nostra vita, alla vita di ciascuno di noi.
Stiamo, infatti, parlando dei fondamenti della nostra convivenza, dei principî che la permeano. Metaforicamente, stiamo parlando di perle preziose.
Stiamo parlando della nostra Democrazia la cui conquista è costata la vita e la sofferenza di milioni di persone.

E noi non dobbiamo mai dimenticare, né permettere che si dimentichi, che se da quasi settantacinque anni stiamo vivendo nel più lungo periodo di pace che la storia dell’Europa occidentale ha conosciuto, è proprio grazie a chi ha combattuto il nazifascismo, pagando un alto costo, nonché all’intuizione di quei «visionari», che nel 1942 a Ventotene immaginarono l’Europa unita.
Perché ovviamente, al di là delle critiche che, talvolta giustamente (il caso Grecia lo insegna), ma spesso ingiustamente investono le Istituzioni europee (si pensi, per es., alle direttive che hanno imposto l’introduzione di norme a garanzia dei consumatori, la responsabilità dei produttori per i vizi del prodotto, le regole sulla trasparenza nei contratti bancari ed assicurativi), è proprio grazie all’Europa unita che è garantita la Pace: il che troppo spesso è dimenticato da alcuni demagoghi, adusi a cavalcare, a strumentalizzare le paure che imperversano, fuori controllo, nei tempi difficili.
Ritengo in proposito di dover ricordare il disposto dell’art. 11 della nostra Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
E già qui, menzionando questo articolo, non solo ricordiamo quali orrori avevano presenti i nostri «costituenti» (si pensi alla frase: «la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli»: avevano ben presente quanto era accaduto nelle due Guerre Mondiali ed a ciò che era accaduto in Etiopia), ma anche la correlazione che vollero sottolineare tra le limitazioni alle sovranità nazionali e la Pace. Perché furono proprio gli egoismi e il desiderio di sopraffazione connessi ad un’impropria concezione di sovranità nazionale, quale pretesa di superiorità, che portarono tanti lutti nel corso del secolo scorso, con due guerre mondiali e decine di conflitti, per così dire, «locali».
La Storia ce lo insegna: è l’impropria affermazione delle sovranità nazionali, cioè come divisione dei popoli, il pericolo per la Pace, non la ricerca di un’unione tra i popoli.
La Pace nasce dal dialogo, dal confronto, non dall’erezione di muri.
Vorrei ricordare che la catastrofe che travolse il mondo tra il settembre ’39 ed il maggio ’45, e che in altre parti del mondo proseguì tragicamente fino all’agosto del ’45, ebbe una causa precisa: aver inseguito vacui sogni di gloria, vacui sogni di onnipotenza e di supremazia; vacui sogni di un’apparente pace sociale fondata sull’oppressione dei più deboli, prescindendo dal fatto che la pace, la pace vera, è fondata sulla solidarietà, l’eguaglianza, la giustizia e la libertà, sul rifiuto della politica dell’identità da preservare rispetto al “diverso”. Sarebbe utile rileggere le aberranti, criminali teorie antisemite pubblicate dalla rivista “La difesa della razza” per averne immediata evidenza[1].
- Vorrei ricordare qui due articoli della nostra Costituzione, che esprimono in un’efficace sintesi l’eredità della Resistenza e dei suoi valori:
– l’art. 2, secondo cui «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»;
– l’art. 3 per cui «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»; e che contiene quella norma, definita da Piero Calamandrei in uno storico discorso a Milano del gennaio 1955, forse la più importante di tutta la Costituzione: «E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Non posso qui parlare, alla luce di queste disposizioni, di quanta strada è stata fatta lungo la via da esse indicate, e quanta ne resti da fare, e come certe volte, su quella strada si sia fatto un passo avanti e due indietro.
Tuttavia, oggi, in questa ricorrenza, vorrei sottolineare un aspetto importante: è già soltanto tenendo in conto la portata di questi due articoli che possiamo dire che non siamo qui a fare una stanca memoria della Resistenza e della Liberazione, come talvolta qualcuno assume, anche al fine di relegare Resistenza e Liberazione in un lontano passato, mentre si stanno sdoganando e proteggendo le neoformazioni nazifasciste vieppiù arroganti, si pensi a Casa Pound e ai Do.Ra.
Le commemorazioni sono stanche se si esauriscono in un semplice deporre una corona o in un discorso.
Non sono stanche se ogni giorno – ogni giorno! – sappiamo di essere chiamati tutti ad affermare i principi costituzionali, che esprimono i valori della Resistenza democratica ed antifascista, e a difenderli di fronte a rigurgiti nazifascisti, avendo la consapevolezza di quanto sangue è stato versato perché quei principi fossero sanciti e il nazifascismo fosse sconfitto.
Stanche commemorazioni?! Ma la più antica delle Istituzioni contemporanee – mi riferisco alla Chiesa cattolica – da duemila anni ogni giorno fa memoria dei momenti costitutivi della Fede. Ogni giorno fa memoria dell’ultima Cena e del sacrificio di Gesù nazareno, nella consapevolezza di che cosa significhi fare memoria.
La Chiesa fa memoria di quel fatto perché quel fatto ha ancora un significato ed esercita una valenza affinché possa vivere l’uomo nuovo.
Come dice l’apostolo Giacomo nella sua lettera: «mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». Il che si correla a quanto si legge in un noto passo evangelico[2] in cui Gesù, accogliendo alcuni, li loda con questa motivazione: « … Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». E alla domanda di chi lodato, chiede, magari un po’ confuso dalla lode: «quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? …», Gesù risponde: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
In senso diametralmente opposto, come è noto, è la risposta che, secondo il Vangelo, viene data a coloro che sono respinti per non aver soccorso gli affamati, gli assetati, i forestieri e via dicendo: «ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. … ».
Ecco, dunque, che cosa vuol dire fare memoria. Vuol dire vivere quella memoria.
Quindi, sono stanche le commemorazioni se non le consideriamo un momento di verifica di come abbiamo contributo e contribuiamo ogni giorno all’affermazione dei principi costituzionali, fondamento della nostra convivenza, e alla loro difesa.
Sono stanche le commemorazioni se si dimentica l’alto costo di vite pagato durante la guerra e da chi, dopo la guerra, ha difeso i principi costituzionali.
Poiché anche di queste vittime oggi dobbiamo fare memoria, poiché anche grazie a loro, che non hanno soltanto portato il testimone affidatogli dai partigiani, ma si son fatti testimoni, cioè martiri (dai contadini di Portella della Ginestra, a coloro che difesero la democrazia scendendo in piazza a protestare contro improvvidi sdoganamenti di forze fasciste agli inizi degli anni Sessanta; dai magistrati, ai giornalisti, agli avvocati, ai medici, agli uomini politici, ai sacerdoti, agli uomini delle Forze dell’Ordine, ai sindacalisti, ai docenti, agli impiegati, agli operai e via dicendo … in uno: i lavoratori, uomini e donne di ogni età, che hanno perso la loro vita nella lotta contro il terrorismo e contro la mafia) – anche grazie a loro viviamo, qui oggi, liberamente, in una Democrazia, che ha saputo resistere e sopravvivere alle grandi stragi di piazza Fontana, piazza della Loggia, della stazione di Bologna, del treno 904 (solo per citarne alcune a mo’ d’esempio), ai tanti omicidi della stagione dei terrorismi.
- E, come ho già detto, c’è poco da far stanche memorie nel momento in cui, oggi, il Fascismo si sta ripresentando in mille modi. Perché il Fascismo, quello che Eco ha definito l’eterno fascismo[3], non appartiene purtroppo solo ad un nostro triste passato; il Fascismo non è rappresentato solo da organizzazioni che vorrebbero il ritorno di sistemi totalitari e che pure stanno cercando di rilegittimarsi e riaffermarsi, nascondendo le infamie della dittatura e dei grandi lutti che ha apportato al mondo intero.
Il Fascismo è anche un modo di pensare, un modo di concepire i rapporti tra gli uomini, che si camuffa subdolamente in mille forme, usando mille specchietti per le allodole, infiltrandosi come un cancro nei tessuti sociali. Ma il Fascismo è sopraffazione, odio etnico[4], discriminazione.
In tal senso la mia coscienza di uomo si sente profondamente turbata nel sapere che il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 23 febbraio 2012 per aver violato diritti umani, in particolare per aver esposto al pericolo di tortura e della riduzione in schiavitù immigrati riportandoli in Libia e in Somalia, con azioni che hanno violato anche il divieto di espulsioni collettive.
Vorrei leggervi dei passi di quella pronuncia, ma non ne abbiamo il tempo.
Ancora: mi turba profondamente che una legge dello Stato – per fortuna dichiarata incostituzionale – prevedesse un aumento di pena laddove il reato fosse stato compiuto da un clandestino. La Corte costituzionale[5] giustamente ritenne che tale disposizione violasse «il principio costituzionale di eguaglianza [che] in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero». Un reato non è più grave se compiuto da un cittadino o da uno straniero, anche se clandestino.
Mi turba profondamente che leggi dello Stato e leggi regionali abbiano previsto normative discriminanti nei confronti di cittadini extracomunitari, rendendo più oneroso accedere a provvidenze economiche per far fronte a bisogni primari. Ed infatti, quelle normative sono state ritenute incostituzionali per l’irragionevolezza ed arbitrarietà delle condizioni previste[6].
Mi turba sapere che una Regione abbia varato legge, poi dichiarata incostituzionale, che rendeva più difficile per alcune confessioni religiose l’esercizio dei loro culti[7].
Vorrei ricordare che il popolo italiano è stato un popolo di emigranti. Sbaglio o anche Papa Bergoglio è figlio di emigranti?
Vorrei ricordare che molti italiani hanno subito vessazioni all’estero proprio perché stranieri.
Ricordate il massacro di New Orleans del 14 marzo 1891 quando 11 italiani accusati ingiustamente di aver ucciso il Capo della polizia locale, pur assolti, furono linciati dalla cosiddetta giustizia popolare, che troppo spesso giudica senza conoscere i fatti e senza soppesare le prove?[8]
Ricordate il massacro di Aigues-Mortes dell’agosto 1893 quando false notizie di delitti compiuti da italiani portarono ad un vero e proprio massacro?[9]
Ricordate il processo farsa contro Sacco e Vanzetti nel 1927?
Purtroppo son solo alcuni esempi, a cui debbono aggiungersi quelli connessi alle migrazioni interne dal Sud al Nord.
E’ sempre molto facile accusare il più debole di tutti mali: tanto non può difendersi!
- Una riflessione conclusiva. Ricordiamo la vecchia regola d’oro: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te».
Non è una mera regola morale. In passato fu recepita in leggi (p. es., nella Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, che precede la Costituzione francese del 22 agosto 1795) e, tutto sommato, è implicita nei principi sanciti negli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione in cui sono espressi i fondamenti della pace: solidarietà, eguaglianza, giustizia sociale.
Questo è il testimone che ci è stato affidato dai Partigiani e dai Costituenti.
Questo è il testimone che dobbiamo passare alle generazioni future in una continuità tra passato, presente e futuro.
E’ condannata alla sconfitta una Nazione che non ha questa memoria e che prescinde nelle proprie politiche dai principi della solidarietà, dell’eguaglianza e della giustizia sociale.
Viva la Resistenza, dunque. Viva la Costituzione italiana.
Viva la Repubblica italiana, una, indivisibile, democratica, antifascista, laica, fondata sul lavoro (e non sulla potenza della finanza!) e sui principi dell’uguaglianza e della solidarietà e sul ripudio della guerra e dell’odio razziale.
E viva l’Europa, nel corso della cui Storia, accanto ai baratri dei più profondi orrori, quei principi di democrazia, d’uguaglianza, di solidarietà, di rifiuto della guerra e del razzismo, di tutela della persona, che rappresentano le più alte vette della civiltà, sono stati concepiti da Secoli, partoriti con dolore, ma infine accolti nelle leggi fondamentali e per la cui realizzazione dobbiamo alacremente lavorare.
E pertanto, BUON LAVORO!!!
Riccardo Conte
Gallarate, 25 Aprile 2019
[1] In tal senso v. l’antologia Educare all’odio di V. Pisanty, in La Biblioteca di Repubblica (2018).
[2] Mt., 25, 31-46
[3] Definizione discussa da alcuni storici, ma non è questa la sede per affrontare tale questione
[4] L’odio etnico non è storicamente proprio del Fascismo, ovviamente. Ma il Fascismo ha introdotto una vergognosa ed odiosa legislazione a cui sono seguiti criminali azioni sistematiche.
[5] Corte cost., 8 luglio 2010, n. 249
[6] Cfr. Corte cost. 20 lug. 2018, n. 166; Id., 25 mag. 2018, n. 107; Id., 19 lug. 2013, n. 222.
[7] Corte cost., 24 marzo 2016, n. 63, che dichiara l’incostituzionalità di alcuni alcuni articoli della L.R. Lombardia, 11 marzo 2005, n. 12, sì come modificata dalla L.R. Lombardia n. 2 del 2015.
[8] Cfr. recentemente Deaglio, New Orleans chiede scusa agli italiani linciati, in La Repubblica, 13 aprile 2019, p. 33
[9] Il numero delle vittime pare sia stato di 17 morti e 150 feriti, ma alcuni storici riportano un numero di quasi tre volte superiore.
Il Pres. Mascella, in conclusione, ha dato lettura del messaggio della Presidenza e Segreteria Nazionale ANPI:
“Nessuno riuscirà a cancellare il 25 aprile”
Comunicato della Presidenza e della Segreteria nazionali ANPI
Il 25 aprile è Festa nazionale. La Festa della Liberazione dell’Italia dal giogo nazi-fascista. Essa vedrà migliaia e migliaia di persone nelle piazze e nelle vie di tantissime città e paesi. Nessuno riuscirà a cancellarla.
Ci riferiamo, in particolare, a chi cerca di negarla, paragonandola ad uno scontro tra “fascisti e comunisti, mentre essa fu lotta vincitrice del popolo italiano contro il nazi-fascismo; a chi continua a gettare fango e fuoco sulla memoria delle partigiane e dei partigiani; a chi tenta con il solito argomentare razzista e ignorante di riportare l’orologio della storia al ventennio del criminale Benito Mussolini.
Il 25 aprile ricorda la vittoria degli ideali di libertà e democrazia che hanno spazzato via la dittatura. È il canto corale delle origini autentiche della nostra Repubblica. La maggioranza delle cittadine e dei cittadini italiani si riconosce con coscienza, fedeltà, entusiasmo e passione civile nella Festa della Liberazione. Saremo in piazza in tantissimi per ricordare che l’onore della Patria fu difeso dal suo popolo e per portare avanti ancora una volta gli ideali per cui lottarono i partigiani: un Mondo di Pace, più giusto e libero.
Viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva l’Italia.
Presidenza e Segreteria nazionali ANPI
Roma, 23 aprile 2019
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Comment (1)
Una manifestazione che mi ha rasserenato e che mi resterà nella memoria.
Bellissimo anche questo sito ANPI.
F.A.